appetite

La premessa è una e cioè che queste poche righe vogliono essere un punto di partenza, soprattutto per me, per il futuro, per come vedo la mia professione tra qualche anno e su cosa mi aspetto/ cosa vorrei che accadesse.

Sono stata a Bologna per seguire App.etite, il congresso voluto da Stefano Bonilli, per fare il punto su enogastronomia e crossmedialità, per capire dove il settore della comunicazione stia andando.

L’idea che mi sono fatta dove aver ascoltato gli interventi dei relatori di sabato ( a parte quello di Giuseppe Granieri che la maggior parte di noi in sala ha trovato scontatissimo ) è che c’è ancora tanto lavoro da fare, soprattutto per i pachidermi che comunicano il cibo sulla carta stampata e che concepiscono un unico metodo per comunicarlo: il loro. Loro sono i più bravi, i più preparati, quelli che sanno scrivere meglio. Pensavo stessimo andando verso un universo meno autoreferenziale. Purtroppo non è così.

Il tweet di Cristiano Ferrari la dice lunga su ciò che abbiamo percepito (praticamente tutti): Finora da #appetite ho capito che il mondo (gastronomico) è diviso in due: chi ci vive e chi crede sia tutto in mano ad un elite, la sua.
Seguivo Stefano Bonilli, su twitter, sul suo blog paperogiallo e mi mancherà, anche se non lo conoscevo personalmente così bene. Mi mancherà perché credo che sia stato l’unico della sua generazione ad aver capito le potenzialità del web, della comunicazione attraverso i siti dedicati all’enogastronomia, ai blog, ai social network come twitter.
Cristiano Ferrari ha scritto che qualcuno tra i presenti alla conferenza era persino infastidito da twitter, dall’uso che ne stavamo facendo per comunicare, a chi non era presente, i contenuti. Figuriamoci a voler parlare ad un pubblico più ampio e vario, comunicare la gastronomia anche a chi non se ne occupa ma ha voglia di sapere, di conoscere.

Ho letto due articoli scritti da Mariachiara Montera sul suo blog The Chef is on the Table e quello di Federico Decesare Viola su Food24, due interessanti analisi di quello che è stato App.etite, con due differenti punti di vista. Estrapolo dai due articoli ciò che credo sia, in fondo, il sunto di questi quasi due giorni di discussione.

Per Federico Una comunità troppo chiusa: In generale, la fotografia scattata durante la due giorni – oltre ad alcuni eccessi autocelebrativi e onanistici – è quella di una comunità ancora giovane e molto chiusa al mondo esterno che nella maggior parte dei casi si parla addosso, non guarda fuori dal proprio orticello con ingiustificato snobismo e ancora rincorre il mito della qualità dimenticandosi però di mostrare numeri veri e dati concreti su cui ragionare.

Mariachiara Montera ha diviso per punti il suo articolo, al Primo punto: ‘le competenze sono sopravvalutate (o sottovalutate). È stato un incessante ripetere “bisogna acquisire competenze, occorre essere più bravi” (bisogna diventare come noi, sembrava di sentire sottofondo) ma non basta: non è la persona che più sa di cibo la più brava a comunicarlo. Se volessimo fare un paragone in altri settori, davvero ci aspetteremmo che a saperne di marketing del turismo fosse l’albergatore? Che l’autore del romanzo sia lo stesso che sappia come distribuirlo? Certo che no: a ognuno le sue competenze. Non funziona così per il mondo della gastronomia dove i dieci giornalisti e cuochi che sanno usare congiuntivo, fotocamera e microfono sono anche quelli che vengono considerati i più autorevoli nel comunicare la gastronomia.’

Raccontare il cibo è ciò che amo fare da qualche tempo. In questi anni ho studiato, continuo a farlo, a documentarmi, condivido esperienze, leggo quelle degli altri, partecipo a congressi e convegni, conferenze per apprendere, imparare.
Uno dei primi a cui ho partecipato, nel lontano 2006, Identità Golose all’epoca aperto solo agli operatori del settore e ai giornalisti. I blogger ancora venivano visti come animali strani, strani ibridi, quindi per qualche edizione mi sono pagata l’ingresso, all’epoca 180 Euro (se non ricordo male) per poter apprendere, studiare, creare il mio personale bagaglio culturale. Da qualche edizione a IG è possibile accreditarsi, per dare la possibilità anche ai blogger di entrare e raccontare il congresso.
Bene dico io, ma allora perché i blogger sono ancora e solo quelli che sanno approfittare della situazione, che partecipano agli eventi per bere e mangiare gratis, che mancano di professionalità, snobbati dai giornalisti che ci sventolano in faccia la tessera, sputando frasi tipo ‘tu non sei un giornalista. Cosa ne vuoi sapere.’ Bene, devo dire che dopo un certo numero di anni e di persone che ti guardano dall’alto verso il basso mi sono anche un po’ stufata di essere trattata come una cretina che sbatte le dita sulla tastiera. Ancora ieri su FB, sulla bacheca di un giornalista che parlava appunto di App.etite (e chi non c’era ma ha trovato il modo di criticare tutto e tutti, ovviamente) c’è chi si è lamentato del fatto che c’è troppa gente che scrive on line, che la preparazione, la cultura dei giornalisti cartacei è uber alles. A cosa servono questi eventi. E poi bla bla bla. Ma ancora bla bla bla su queste cose nel 2014, quasi 2015?

Ho fatto di una passione un lavoro, mi piace comunicare con la gente, con le persone, con chi mi segue e cerco di farlo nel miglior modo possibile e sempre sotto la luce del sole. Ho varie collaborazioni, mi occupo della gestione di pagine e social network per alcune aziende, realizzo progetti editoriali per siti e portali, ebook che parlano del territorio (leggete il bellissimo progetto di Zandegù). App per smartphone. A volte il mio nome compare sui progetti, altre volte resta nell’ombra, per richiesta dei clienti. Sul blog, a volte, racconto produttori e prodotti e quando sono collaborazioni è scritto, non ho mai nascosto nulla. Aiuto a comunicare il cibo anche ai piccoli produttori che a volte me lo chiedono, attraverso i loro canali, solo per il piacere di farlo. A volte basta anche solo una fotografia. Non sempre dietro a una ricetta o a una storia bella e interessante deve per forza esserci la parola business.
Questo lungo discorso per dire che forse è giunto il momento di unire le forze, di smetterla di fare la guerra a chi scrive di cibo ma non ha in tasca la tessera da giornalista. Ci sono differenti modi e differenti luoghi per raccontare di cibo, gastronomia e vino. E non tutti, necessariamente, passano attraverso la carta stampata.

Basta lagnarsi e rimbocchiamoci tutti le maniche che forse è giunto il momento.

Per ora ringrazio Elisia Menduni, Max Bergami e Marco Bolasco per questo primo appuntamento, il numero zero che forse può dar vita a qualcosa di importante in questo settore, con l’augurio che non resti un evento isolato.