C’era una volta…. quante volte abbiamo sentito questa frase.. dai genitori, dai nonni: fiabe, favole e racconti. Storie lontane di tempi andati. Tradizioni di casa che, grazie a momenti di convivialità ,restano ben salde nella nostra mente, nei nostri ricordi. Proprio come quando la domenica ci si ritrovava per pranzare tutti insieme. Piatti semplici, ma ricchi di fascino e storia che si tramanda di generazione in generazione.
Proprio come quella dei cappelletti in brodo. Avete mai pensato a quanta storia, quanti racconti sono racchiusi dentro a quel minuscolo cappelletto? A volte, quando preparo le tagliatelle o dei ravioli, mi fermo, rifletto e mi viene da pensare ‘ma quante mani hanno fatto esattamente questo gesto? Quante persone ripercorrono una storia, magari la storia della famiglia ogni volta che impastano, stendono e tagliano la pasta all’uovo’.
E di questo e molto altro abbiamo discusso con Andrea Bezzecchi in uno dei nostri ultimi incontri. Lui mi parlava di cappelletti, di brodo di cappone, di tradizione, di surbir.. Già Surbir. Sembra una parola magica, Surbir.. Voi sapete cosa vuol dire? È in poche parole quello che faceva mio nonno quando stava per finire di mangiare i ravioli in brodo: aggiungeva del buon vino rosso (di solito Barbera) alla pasta in brodo! Corroborante, un gesto che riscalda l’anima, nelle fredde serate d’inverno.
Abbiamo avuto modo di provare il Surbir originale due anni fa ormai. Proprio in quel di Campagnola nell’Emilia, in compagnia di Andrea, che ci ha fatto assaggiare gli autentici cappelletti in brodo di Cappone, con Parmigiano Reggiano (uno dei suoi, per intenderci) e alla fine della degustazione il meraviglioso surbir!
I cappelletti erano quelli della Trattoria Cognento (che vedete fotografati qui sopra, che ho ri-assaggiato da poco) e che per tutto l’anno potete trovare in vendita sul sito di Andrea che guarda caso si chiama proprio surbir . Ma Surbir non è solo cappelletti! È Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia, Parmigiano Reggiano Biogold 34 mesi o Montagnana 60 mesi. E Lambrusco [quantomipiaceillambrusco!] di quello buono. Avete l’imbarazzo della scelta.
Grazie ad Andrea sono riuscita a leggere un testo molto interessante, di Giuliano Bagnoli che si intitola ‘I cappelletti reggiani:il trionfo dello stracotto‘. Qui di seguito un breve estratto (so che non è così breve, ma l’originale conta una decina di pagine!!)
Quale sia l’origine antica di questo tradizionale piatto, non è dato per certo il saperlo ma si può ipotizzare che sia posta in epoca medievale, con un antico retaggio proveniente dalla cucina d’epoca romana.Una prima ipotesi si basa sul principio di riutilizzare delle carni di diverso tipo, rimaste dal desco precedente, custodendole e dandole nuova dignità dentro ad uno stretto vestito di pasta, sia proprio da attribuire all’ambiente monastico e religioso. Questi luoghi di cultura e d’esempio per le povere genti dell’epoca medievale, che non avevano un preciso punto di riferimento di tipo civile, radunavano intorno a se un popolo assai vasto. Ben sappiamo come dai monasteri benedettini siano giunte novità sulla coltivazione delle terre della pianura padana, sulla loro bonifica, sulla loro concimazione, ma anche importanti novità circa la conservazione dei prodotti agricoli e sull’impiego dei prodotti animali: ad esempio la macellazione del maiale e la sua conservazione e, come dimostrato pochi anni fa, sull’impiego del latte di mucca per la produzione del formaggio di grana (allora chiamato parmesàn). Se il desco dei feudatari era sempre ricco di carni fresche, cacciate nei boschi di querce della pianura, quello dei monasteri era più controllato e si vigilava sul reimpiego e riutilizzo dei cibi avanzati, limitando gli sprechi. Una seconda ipotesi, forse più credibile, fa nascere la pasta ripiena, in area padana, come un atto realmente finalizzato ad ottenere dei piccoli sacchetti di pasta ripieni di carne, erbe e formaggio (per i giorni di grasso), o con sole erbe e formaggio (per i giorni di magro)…
Così in area padana dev’essere nata la cultura delle paste ripiene, per poi evolversi in vera e propria tradizione locale, acquistando la dignità di una tecnica propria, ricercando altri gusti: gusti sempre più raffinati, presso le corti delle varie signorie e dei signori rinascimentali, gusti più semplici e composti, non speziati, legati a quanto era disponibile in casa, nelle cucine più semplici di artigiani facoltosi e professionisti. Se nelle vicine province di Modena e Parma, luoghi di governo centrale, si poteva definire la presenza di una cucina articolata e di corte (che ha cementato la tradizione locale dei tortellini e degli anolini), nel reggiano non vi era presente un governo locale, una signoria capace di custodire l’antico retaggio della tradizione del cappelletto. Eppure, nonostante questa situazione poco favorente, nelle nostre terre si è mantenuto la tradizione del cappelletto (con un nome diverso e principi di preparazione diversi dalle altre paste ripiene delle zone vicine). Penso che ciò sia stato possibile solo con la presenza di una radicata tradizione popolare locale che, nel segreto e nella povertà delle cucine di contadini, artigiani, professionisti, nobili, ha trasmesso nei secoli questo piccolo tesoro di sapore che tanti ci invidiano. [cont]
Nel testo sono presenti anche alcune ricette originali, pubblicate dal Bagnoli. Chiederò il permesso ad Andrea di pubblicarne almeno una. :)
“aggiungeva del buon vino rosso (di solito Barbera) alla pasta in brodo! Corroborante, un gesto che riscalda l’anima, nelle fredde serate d’inverno.” Bellissimo! As winter has moved in and we sit in the house chilled to the bone, we have started craving pasta in brodo, ravioli in brodo, cappelletti in brodo come abiamo mangiato in italia (c’era una volta). What a wonderful post and love the photo “come degustare…” Guess what I’ll be making for dinner tonight?
Che ma che bella sorpresa stamattina!! Un bel piatto di surbir è quello che ci vorrebbe con ‘sto freddo! anche la mattina … :)
Cosa ha detto il grande esperto Vittorio aka Tirebouchon? Ha dato il suo parere finale? NON tenermi sulle spine!! :)
SurBez
Andrea, pensavo la stessa cosa anch’io. E mi vengono in mente i trascorsi da osti della mia famiglia, quando il venerdì – giorno di mercato – preparavano le trippe in brodo per far fare colazione ai raffreddati avventori. Altro che cappuccio e brioche :)
Ciao.davide
tra l’altro sarei curioso di sapere se questa tradizione di aggiungere vino alla pasta in brodo, c’è da altre parti in Italia e con che nome.
Sandra, come lo chiamava tuo nonno?
Caspita, noi li abbiamo finiti proprio la scorsa settimana.. bisognerà provvedere..
Bello il Vittorio.. posso immaginare la sua espressione dentro quella scodella ah ah ah
Ciao
Paolo
@Andrea,
Lo faccio anche io di inverno.. non so da dove arrivi, ma so che da qualche parte del centro italia lo chiamano “scattone”
non sapevo nulla di questo surbir, quanto c’è sempre di nuovo da scoprire nelle nostre tradizioni. E che voglia di cappelletti in brodo e surbir mi hai messo :-b
Che poesia questo surbir! Vorrei poter entrare nelle tue foto e assaggiare quei bellissimi cappelletti reggiani :)
Sai che nemmeno io conoscevo la tradizione del surbir? Voglio chiedere ai miei nonni se ne sanno qualcosa in più e se sanno come si chiama qui da noi :) Anch’io adoro il lambrusco ;)
Un bacio.
cara Sandra, io invece ricordo di aver già sentito parlare di questa usanza, indagherò ;-))
Quello della foto non sono io….:))
Tutti i prodotti di Surbir sono meravigliosi!
Come non sei tu??! Ti riconosco dal ciuffo-tirabaci :P
attendiamo di avere delucidazioni in merito alla pratica ‘surbir’ delle altre regioni e i relativi nomi!
Intanto ringrazio tutti voi per aver contribuito con i commenti al post. :=)
Vittorio, non dire bugie neh! :D