
La campagna di Shimane
Giulia Maglio è tornata dalla sua bellissima esperienza in una cantina di sake, quella di Tenon nella prefettura di Shimane. Ha scritto per Un tocco di zenzero un pezzo molto intenso, che racconta una giornata in cantina, seguendo attentamente le indicazioni dei Kurabito, gli uomini della cantina.
Il primo giorno in Cantina è stato tanto faticoso quanto entusiasmante.
La sveglia è suonata alle 4 ed ero pronta per lavorare alle 5: una doccia calda ed un caffè sono la cosa migliore per svegliarsi, o almeno per avere una parvenza di lucidità.
Ma è l’emozione che mi sveglia, più che la caffeina.
La Cantina è fredda e deve esserlo per consentire al riso di dare il meglio di sé.
La prima cosa che ho fatto, in assoluto, è stata entrare nel Kojimuro, la stanza nella quale il riso viene mischiato con il koji*: questa è la stanza più importante dell’intera cantina ed è qui che avviene la parte più complessa e difficile della produzione del sake.
*koji= fungo aspergillus oryzae

Itakura shuzo
Dentro il kojimuro ci sono circa 35° gradi ed è molto umido, quindi tutti si tolgono giacche e maglioni prima di entrare. Cerco di copiare ogni loro mossa e di non rimanere troppo indietro. L’ambiente del kojimuro deve essere immacolato, quindi prima di entrare ci si lava le mani per bene con sapone e spazzola. Sì, avete letto bene, una spazzola: l’acqua è gelida, le setole dure fanno male sulla pelle ma sono necessarie per rimuovere le impurità. Poi ci si infila dei guanti in lattice, li si spruzza con alcool disinfettante e finalmente si è pronti per entrare.
L’aria all’interno del kojimuro è calda e pesante ed ora capisco perché è importante vestirsi a strati. Nella stanza ci sono diverse scatole in legno che contengono il riso koji ed il nostro compito è di mischiarlo attentamente in modo da rimuovere eventuali grumi.
Una volta finito usciamo e ci rivestiamo restando sempre in silenzio. Io cerco di essere il più utile possibile, o almeno di non essere d’intralcio. Loro sembra quasi che volino da una parte all’altra della cantina, ed ognuno di loro sa benissimo cosa fare. Anche io, nel mio piccolo, riesco a malapena a prendere fiato e, quando ci riesco, rimango incantata a guardare questa meravigliosa danza.
C’è un silenzio assoluto e tutti sanno di far parte di una coreografia che prevede che ognuno danzi indipendente per poi ricongiungersi e supportare i movimenti dell’altro. Forse è questa la regola più importante della cantina, il supporto reciproco.
I ritmi sono serrati e sono strettamente legati al riso. Non c’è tempo per le spiegazioni, non c’è tempo per dubbi o gentilezze. Si fa, e come da tradizione giapponese, mentre gli altri fanno io copio ed assimilo tutto ciò che posso. Sbagliare non rientra nel vocabolario della Cantina e non ci sono seconde possibilità; credo di non essere mai stata così sotto pressione in vita mia.
Anche durante la pausa il tempo è importante. La prima pausa della giornata finisce alle 8: alle 7 e 50 tutti si riuniscono nella stanza dove si mangia e, in silenzio, bevono una tazza di tè caldo fissando lo schermo. A nessuno importa che programma ci sia in tv, l’importante è l’orologio nell’angolo in basso a destra dello schermo: 7 e 58. 7 e 59. Appena compare la scritta 8:00 tutti si alzano contemporaneamente come un solo uomo e la danza riprende.
Il mio compito principale è quello di lavare. Devo lavare qualunque oggetto, lenzuolo o strumento che sia stato toccato anche per qualche secondo. In cantina non si usano detergenti chimici ma solo acqua bollente per sterilizzare tutto. Devo sbrigarmi perchè è ora di tornare nel kojimuro. Non so se sono pronta per quello che sta per succedere.
Questa volta bisogna inoculare il riso con il fungo koji, una polverina verdognola che è stata già portata nella stanza in un barattolo e aspetta il Toji, il capo della Cantina. È lui che dirigerà questa danza, la più importante di tutte.
Ci laviamo le mani, entriamo e distribuiamo uniformemente il riso sul tavolo centrale, cosicché il Toji possa eseguire la sua danza.
Appena il riso è pronto il Toji entra, porta con sé gli dei e chiude la porta. È il momento: l’aria si fa pesante, noi facciamo un passo indietro, lui prende in mano il barattolo ed inizia a spargere il koji con movimenti sinuosi e lenti. I nostri occhi seguono il koji e tratteniamo il respiro, la polvere di koji danza in aria fino a posarsi sui chicchi bianchi colorandoli di verde. Quando l’ultimo granello si posa noi ci avviciniamo per guardare da vicino. È tempo di mescolare il riso, a mano ovviamente.
Una volta finito, il Toji guarda il riso ancora una volta, lo tocca, lo esamina. Se non lo abbiamo mescolato bene dobbiamo ricominciare daccapo. Ma lui non dice niente e questo vuol dire che il lavoro qui è finito e possiamo uscire. Apriamo la porta del kojimuro e, mentre l’aria fredda della cantina mi solletica il sudore sul viso, gli dei escono.
Precisione, dedizione, perseveranza. Mi porto a casa un pizzico di queste qualità che i kurabito (chi lavora in Cantina) mi stanno insegnando.
Mentre scrivo queste righe sono a casa mia, a Tokyo, e ricordare i miei giorni in Cantina è dolce e amaro. Ho lasciato un pezzo di me in Cantina e spero di tornare presto.

Tenon sake