Uno degli aspetti del mio lavoro che mi entusiasma di più è il poter condividere la mia passione per il sake con altre persone. Qui a Tokyo lavoro come guida “sakegastronomica” e spesso mi occupo di organizzare e condurre degustazioni di sake.

Durante le degustazioni racconto, un po’ di storia, di come il sake venga prodotto, come degustarlo e molto altro ancora sul mondo che ruota intorno a questa antica bevanda. Sicuramente una parte interessante della degustazione riguarda l’abbinamento del sake con la cucina. È un argomento che mi appassiona tantissimo e che sono certa che sia una delle parti più sfiziose un po’ per tutti. Mi rende molto orgogliosa il fatto che in molti mi facciano domande sul sake e vedere il loro interesse e la loro curiosità mi dà ancora più energia!

C’è però una domanda in particolare a cui, e mi spiace dirlo, non so proprio rispondere. Spesso mi viene chiesto: “se dovessi scegliere un solo sake da bere per il resto della vita, quale sceglieresti?” Non so proprio rispondere. È come chiedere ad un appassionato di musica di scegliere la sua canzone preferita o ad un lettore accanito di scegliere un solo libro da leggere per tutta la vita. Impossibile decidere. Proprio perché il sake rappresenta un mondo così complesso e pieno di sfumature, doverne scegliere solo uno mi sembra quasi una condanna.

Ci sono così tante cantine che producono tanti tipi di sake diversi, ognuno con una sua storia e un suo aroma caratteristico. Sono così tanti gli abbinamenti con le diverse pietanze che mi vengono in mente, che davvero non riesco a trovare una risposta. Ultimamente sto studiando la storia di diverse cantine, come preparano il sake e l’evoluzione che ha avuto il sake che producono. Sono solo agli inizi e se si pensa che in Giappone ci sono più o meno 1000 cantine, in così poco tempo già mi rendo conto della passione che queste persone mettono in ogni gesto che fanno. La giornata in cantina è lunga e faticosa, di solito i kurabito (coloro che lavorano in cantina) iniziano a lavorare intorno alle 4-4.30 del mattino e vanno avanti fino all’ora di cena. Durante alcuni passaggi più delicati della lavorazione del riso, alcuni di loro si devono svegliare ogni 2 ore per prendersene cura.

In Giappone la gerarchia è una delle cose più importanti e a fare questo lavoro sono i nuovi arrivati o i più giovani, perché in fondo un po’ di nonnismo è quasi d’obbligo.
Oltre ad avere queste lunghe giornate, i kurabito devono anche fare attenzione a cosa mangiano. Durante alcune fasi della lavorazione del sake è importante che evitino prodotti fermentati, ad esempio lo yogurt. Gli enzimi che il nostro corpo produce durante la digestione di questi cibi influenzerebbe la fermentazione del sake e quindi, per alcuni giorni, i kurabito devono sottostare ad una sorta di dieta.

La passione, la cura e l’attenzione per i dettagli che queste persone mettono nella produzione del sake, rende il tutto ancora più affascinante e rende questa domanda ancora più difficile.
Per contro, aumenta la mia voglia di saperne di più al punto di voler andare in una di queste cantine e provare in prima persona cosa voglia dire essere un kurabito.

Giulia Maglio, da Tokyo per Un tocco di zenzero


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